David Grossman ci delizia con il suo ultimo romanzo “La vita gioca con me” che tratta una storia familiare e personale dolorosa in cui il passato e il presente si intrecciano. È un confronto simultaneo tra diverse generazioni e tra i diversi conflitti che fanno da sfondo: quello arabo-israeliano e le guerre nei Balcani.
Ogni personaggio fa i conti con i propri traumi pregressi e sembra essere incollato all’altro per mezzo di un adesivo. Sono la nonna Vera, la figlia Nina, Rafael e la nipote Ghili i soggetti di questa grande storia. Ghili è anche io narrante e regista, che parlando di sé, parla anche degli altri.
Corre l’Inverno 1962, Vera e Nina arrivano in Israele lasciando dietro di sé gli orrori vissuti in Iugoslavia. È in un kibbutz che Vera incontra Tuvia, vedovo con cui si sposa, entrando così a far ufficialmente parte della famiglia Bruck e instaurando un profondo legame con il figliastro Rafael, lacerato dal dolore provocato dalla morte della madre. Sofferenza che viene alleviata da Nina, figlia di Vera, di cui si innamora e dalla cui unione nascerà Ghili. Nina è una ragazza tormentata, forte, di una bellezza mascolina e peculiare e non può fornire loro l’amore di cui hanno bisogno. Per questo fugge, alla volta del nord Europa. È l’autunno 2008 e Vera compie novanta anni, Nina, scappata dalle sue responsabilità familiari e tornata in Israele per festeggiare il lieto evento, rivela a Rafael di essere affetta da una forma di Alzheimer precoce. Tra le tante richieste che gli pone ce n’è una più bizzarra delle altre: girare un documentario sulla vita di Vera ai tempi della Iugoslavia. Con questo film Nina intende ottenere risposte che colmino il vuoto lasciatole dal periodo in cui la madre la abbandonò a causa della deportazione. A Rafael spetta la parte del personaggio buono, che ama disinteressatamente Nina, Vera e Ghili. A Nina perdona tutto: le sue avventure sessuali, i suoi egoismi e le sue fughe, ed è lui l’anello debole della catena, il vertice meno forte del quadrilatero; è infatti alle donne che Grossman dedica tutta la sua attenzione. Tramite una struttura narrativa non semplice da ricostruire, colma di richiami a passaggi precedenti e di intermittenze, l’autore ci riporta indietro di molti anni, nella terra in cui Vera lasciò il suo amore più grande. È così che Vera, Nina, Ghili e Rafael percorrono un viaggio verso le tappe più dolorose del passato di Vera: dall’infanzia, al matrimonio con Milos, fino al suicidio di quest’ultimo e alla deportazione nel gulag. Un libro che racconta di amore, orrore e delle ripercussioni di entrambi sulle vite delle generazioni future.