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    Israele e il problema dei partiti arabi

    Sia pure in mezzo alle difficoltà del coronavirus, la politica non perde il suo peso, anzi, dato che alla responsabilità politica, non ai medici o agli economisti, spettano in definitiva le scelte sui metodi di contrasto dell’epidemia e toccheranno poi le decisioni sul rilancio dell’economia. Così in Italia e così in Israele, in attesa della nascita del governo di unità nazionale, il dibattito è accesissimo: su come riuscire a indurre i charedim a rispettare le misure di isolamento, sulla scelta improvvisa di Gantz che ha diviso la sinistra, sui ministeri che toccheranno ai vari partiti. I temi di fondo sono però due: l’invadenza del sistema giudiziario ai danni delle scelte che in democrazia spettano alle istituzioni politiche, e sul ruolo della lista unitaria dei partiti detti “arabi”. Il fallimento del tentativo di Gantz di soppiantare Netanyahu deriva dal fatto che per riuscirci avrebbe dovuto costituire un governo dipendente dal loro voto, che entrassero o meno nel ministero. Ciò è parso inaccettabile ad alcuni parlamentari del centrosinistra e anche all’elettorato, come hanno mostrato i sondaggi. Qualcuno ha accusato per questo di “razzismo” la politica israeliana, ma non è così. Il punto non è la base etnica prevalentemente araba di questi partiti. Ogni discriminazione razziale e ogni propaganda razzista in Israele è proibita e perseguita. Di fatto la lista “araba” ha gli stessi diritti degli altri partiti, vi sono numerosissimi giudici, sindaci, professori universitari, ufficiali di polizia di origine araba e di religione musulmana. Il punto è che i partiti che convergono nella lista, tutti, non solo il super-estremista Balad, sono contro i fondamenti della realtà di Israele: antisionisti, chi per panarabismo laico, chi per islamismo, chi per comunismo. Fra loro c’è chi è stato consigliere di Arafat, chi è stato condannato per spionaggio, chi per aver contrabbandato ai terroristi in carcere strumenti di comunicazione. Come può vivere uno stato se mette il governo sotto il controllo dei suoi nemici giurati? Certo, questo non vuol dire né che gli arabi vadano sempre esclusi dal governo, né che i loro interessi legittimi non vadano tutelati, né che debbano per forza diventare sionisti (c’è una differenza fra non essere sionisti e essere nemici dello stato). Per superare l’impasse, è urgente la nascita di un partito arabo davvero democratico, senza compromessi col terrorismo e disposto ad accettare il diritto degli ebrei al loro stato nazione.

     

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