di David Meghnagi
Presentare ai giovani due settimane o più di quarantena come un sacrificio è dal punto di vista pedagogico e della comunicazione profondamente sbagliato. Presuppone l’idea falsa che le persone ragionino solo ed esclusivamente in termini utilitaristici. Che appunto tutto ciò che si fa’ è esclusivamente guidato da una logica utilitaria in cui i valori hanno un ruolo secondario. Se così fosse, non si comprenderebbe l’eroismo silenzioso di molti medici e infermieri che lottano nelle trincee degli ospedali correndo dei rischi per sé e per i famigliari. Sopratutto non si comprenderebbe perché tale sforzo sia rapidamente assurto nell’immaginario di tutti a simbolo di ciò che unisce tutti al di là delle differenze e delle appartenenze.
Contribuire con un piccolo gesto alla salvezza propria e del più alo numero di persone, non dovrebbe essere proposto come un sacrificio. Ma come un gesto di responsabilità verso di sé e verso gli altri.
Il vero problema dei giovani, come degli adulti non è l’eventualità di una rinuncia, ma il senso che tutto questo acquista all’interno della vita psichica. Se ciò che facciamo, è consapevolmente fatto per il bene nostro e delle persone cui vogliamo bene, tutto questo non appare più come una rinuncia. E’ un atto dovuto e normale, che scaturisce dalla profondità di un legame irrinunciabile.