Vedendo sul web qualche convegno universitario riguardante gli ebrei così come qualche prodotto circolante (anche) nell’etere, si ha modo di constatare l’esistenza di un altissimo grado di inesattezze ed imprecisioni che non si dovrebbero sottovalutare.
La condanna moralistica, laddove ci siano gli estremi per pronunciarla, si rivela, come è giusto che sia, ben poca cosa al confronto della potenza dei fatti e delle opinioni ben argomentate.
Tale condanna basata sulla morale e sui sentimenti, forse avrebbe potuto avere una sua giustificazione quando il sistema Paese, segnatamente sul versante scolastico, versava in altre condizioni. In tempi di declino, la solita condanna morale, corredata da qualche dato snocciolato con palese fatica, non è soltanto inutile, ma è soprattutto controproducente, e si vede.
Le grandi figure del passato non ci sono più, nemmeno in campo ebraico; a meno che qualcuno ravvisi in qualcuno di noi un novello Giorgio Israel, ma al riguardo non ne sarei così sicuro. Il che non toglie che vi siano ancora delle figure di grande rilievo, che il galateo giustamente impedisce di citare ma che tutti conosciamo.
Non abbiamo visto, nei riguardi degli eventi citati all’inizio, alcuna analisi del linguaggio e dei contenuti così come non abbiamo mai assistito ad un’analisi analoga nemmeno dei testi che il governo emana né di quelli prodotti da chi per legge è chiamato a difenderci. Se è per quello, non abbiamo nemmeno visto una simile analisi né dei testi normativi né della giurisprudenza, per non parlare, poi del mancato recepimento in Italia di fonti a difesa degli ebrei, come invece accade nel resto d’Europa, essendo noi ormai regolarmente esposti al linciaggio del primo che passa.
Per contro, assistiamo al ripetersi di rituali pubblici che molto apprezziamo, ma che da soli non risolvono un (bello o brutto) nulla.
Sembrerebbe indispensabile sostituire il modello degli anni buoni, ammesso che siano mai esistiti, con un modello meritocratico, basato sulla cultura e sul ragionamento, che attinga alle risorse di chi, nell’ebraismo, ne abbia le capacità morali ed intellettuali. Al posto degli assessori alla memoria, servirebbero gli assessori all’antisemitismo.
Per l’intanto, non possiamo che essere perplessi al cospetto di un distacco sempre più marcato fra le nostre strutture e la realtà, come possiamo evincere, per dire, da qualche chiamata alle radio di iscritti alle Comunità, coi risultati che chiunque di noi può rilevare. Secondo lo Statuto UCEI le Comunità ebraiche hanno il potere /dovere di combattere l’antisemitismo; sarebbe opportuno che si attrezzassero, in modo idoneo, con persone capaci e professionali, al di sopra delle parti e davvero neutrali, perché le Comunità appartengono agli iscritti.
Quanto all’UCEI, appare evidente che la sua legittimazione ai rapporti esterni non assolve ai compiti che ci aspettavamo, soprattutto per quanto attiene all’allineamento, per dire, con la Francia. Ciò potrebbe essere pure compreso, se l’UCEI ne prendesse atto.