La politica internazionale non è fatta di mosse isolate, ma di azioni e reazioni, gesti e risposte, magari già contrattate in segreto o previste. Il famoso piano di pace di Trump va valutato in questo modo. Si può essere d’accordo o meno sui dettagli, ma è chiaro che recepisce i dati sul terreno e contiene proposte molto concrete per migliorarli, dalla soluzione prevista per Gerusalemme agli insediamenti, allo sviluppo economico di un futuro stato palestinese demilitarizzato. Ma quel che conta sono le reazioni. A parte qualche appello verbale, il mondo arabo non ha condannato la mossa (salvo il fronte del rifiuto costituito dai musulmani non arabi Iran e Turchia coi loro satelliti come Hezbollah, Qatar, cui si è aggiunta la Tunisia). L’atteggiamento positivo di Egitto e Arabia è una novità straordinaria. Neanche i paesi europei, tradizionalmente filopalestinesi, hanno mostrato reazioni particolarmente combattive. Chi rifiuta il patto naturalmente sono le fazioni palestiniste, che hanno sempre detto di no a qualunque accordo con Israele, per il semplice fatto che vogliono distruggerlo e sostituirlo sul territorio, non conviverci con un loro stato. Ma sono isolati. E l’amministrazione Trump ha detto chiaramente, che in caso persistesse il rifiuto palestinese, accetterebbe l’annessione israeliana della Valle del Giordano e degli insediamenti: un cambiamento sul terreno che susciterebbe opposizioni ma non terremoti e che diventerebbe presto irreversibile come è accaduto col Golan. Che vi siano ebrei di sinistra in America, in Israele e magari anche in Italia, che si sentono più vicini ai palestinisti dell’Arabia e dell’Egitto, e che quindi rifiutano il patto anche per ragioni elettorali contro Trump e Netanyahu, è un fatto triste ma che non cambia i bisogni strategici di Israele e la sua capacità, provata a partire dalla dichiarazione Balfour, di sfuggire alla logica del tutto-o-nulla e di accettare i compromessi possibili. Forse nel conflitto fra innovatori e conservatori (paradossalmente i primi di destra e i secondi di sinistra), che è il segno del nostro tempo, l’abile proposta di Trump segna un punto importante per l’innovazione in Medio Oriente.