
Il riconoscimento ufficiale del Somaliland da parte di Israele, primo Paese al mondo a compiere un simile gesto, ha innescato una reazione dura e quasi unanime nel mondo arabo: condanne formali, richiami al rispetto della sovranità somala e una richiesta urgente di dibattito al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Dalla Turchia all’Arabia Saudita, dall’Egitto all’Iran, la linea è stata compatta. Ma proprio questa compattezza ha fatto emergere un’assenza significativa: il silenzio degli Emirati Arabi Uniti.
La decisione israeliana, annunciata nel fine settimana, viene spiegata apertamente da fonti politiche come una scelta strategica. “Basta guardare la posizione del Somaliland per capire tutto”, è la frase che sintetizza l’approccio di Gerusalemme. Il Somaliland si affaccia sul Golfo di Aden, a ridosso dello stretto di Bab el-Mandeb, uno dei corridoi marittimi più sensibili al mondo, attraversato da circa il 12% del commercio globale. È inoltre distante appena 250 chilometri dallo Yemen, da cui operano i ribelli houthi sostenuti dall’Iran.
Il silenzio di Abu Dhabi non è casuale. Da anni gli Emirati sviluppano relazioni strette con il Somaliland e gestiscono una base militare nel porto di Berbera, dotata di una pista di quattro chilometri, hangar e infrastrutture portuali in espansione. Una presenza che ha avuto un ruolo anche nel conflitto yemenita. Ufficialmente gli Emirati non hanno riconosciuto il Somaliland, ma nei fatti lo considerano un asset strategico. La scelta israeliana si inserisce dunque in una geometria regionale già esistente, rafforzandola.
Sul piano politico, Gerusalemme respinge le accuse di doppio standard provenienti dal mondo arabo. Fonti israeliane sottolineano l’ipocrisia di chi sostiene apertamente il riconoscimento di uno Stato palestinese nato da organizzazioni terroristiche, ma rifiuta quello del Somaliland, un’entità stabile, funzionante, con istituzioni democratiche e trent’anni di autogoverno pacifico.
Dietro le quinte, i contatti tra Israele e il Somaliland sono maturati da anni. Il presidente del Somaliland ha visitato Israele in segreto la scorsa estate, incontrando il primo ministro, il ministro degli Esteri, quello della Difesa e il capo del Mossad. Un rapporto costruito con gradualità, fiducia personale e cooperazione strategica, sul modello di altre relazioni discrete che Israele intrattiene in Africa.
Sul fronte militare, la mossa apre nuove possibilità operative. Pur senza conferme ufficiali sui dettagli, fonti di sicurezza israeliane ammettono che il riconoscimento offre profondità strategica, migliora la pianificazione aerea e rafforza la “lunga mano” di Israele contro le minacce provenienti dallo Yemen e dall’Iran. Dopo gli attacchi houthi e le difficoltà logistiche di operare a quasi duemila chilometri di distanza, il Somaliland rappresenta un cambio di paradigma.
Resta il rischio di una contro-offensiva diplomatica guidata da Turchia, Qatar ed Egitto, ma Israele sembra aver scelto consapevolmente la strada dell’iniziativa. Non una risposta difensiva, ma un messaggio chiaro: Gerusalemme è pronta a giocare la partita regionale con gli stessi strumenti dei suoi avversari, costruendo alleanze, sfruttando la geografia e anticipando le mosse.
In un Medio Oriente e in un Corno d’Africa sempre più intrecciati, il Somaliland non è una periferia dimenticata. È un nodo strategico. E Israele ha deciso di riconoscerlo per primo.












