
Sono da poco passate le dieci di sabato quando si diffonde la notizia degli arresti dei finanziatori di Hamas, tra cui il presidente dell’associazione palestinese in Italia Mohammad Hannoun, personaggio – va sottolineato – più volte fotografato con vari esponenti politici di centrosinistra. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi emette la solita nota di circostanza che ringrazia polizia, guardia di finanza e magistratura. Fin qui tutto secondo copione.
Ma il colpo di scena avviene alle 10.20 quando l’Ansa batte il comunicato stampa dei pm che indagano sul caso, non due magistrati qualsiasi, ma il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Giovanni Melillo e quello di Genova Nicola Piacente. “Le indagini e i fatti emersi – si legge nella nota – non possono in alcun modo togliere rilievo ai crimini commessi ai danni della popolazione palestinese successivamente al 7 ottobre 2023 nel corso delle operazioni militari intraprese dal Governo di Israele, per i quali si attende il giudizio da parte della Corte Penale Internazionale, da rendersi in conformità allo Statuto di Roma, ratificato da 125 Stati Membri, fra i quali, in un ruolo di impulso e sostegno, l’Italia”.
Leggo e rileggo la nota. Si parla di arresti, di finanziamenti ad Hamas, di reati compiuti in Italia, di indagini degli organi preposti dalla Costituzione che devono garantire discrezione, riservatezza e imparzialità. È una stecca, una nota politica stonata che non compete alla magistratura. Perché aggiungere questa postilla contro Israele ad un’inchiesta che già pone molte ombre sul sistema occulto di finanziamenti di Hamas?
Per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, i pm proseguono esprimendo ancora più ampiamente le loro opinioni politiche: “Allo stesso tempo tali crimini non possono giustificare gli atti di terrorismo (compresi quelli del 7 ottobre 2023) compiuti da Hamas e dalle organizzazioni terroristiche a questa collegate ai danni della popolazione civile, né costituirne una circostanza attenuante. Per la giurisprudenza di legittimità costituiscono, infatti, atto terroristico le condotte che, pur se commesse nel contesto di conflitti armati, consistano in condotte violente rivolte contro la popolazione civile, anche se presente in territori che, in base al diritto internazionale, devono ritenersi illegittimamente occupati”.
E io sciocca che pensavo che la magistratura italiana dovesse indagare su reati compiuti nel nostro paese e invece mi ritrovo davanti a giudici internazionali e diplomatici in carriera. Mi sembra veramente buffo che una laureata in lettere, come la sottoscritta, debba ricordare a tali procuratori quello che stabilisce l’articolo 97 della costituzione.“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. I pm sono dipendenti pubblici e come tali quindi vincolati dall’imparzialità. Nell’articolo 101 della Costituzione si stabilisce che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge, mentre in quello 112 si stabilisce l’obbligatorietà penale, ovvero un magistrato ha l’obbligo di indagare quando viene a conoscenza di un reato.
Si avvicina il voto per il referendum confermativo sulla riforma della giustizia che prevede la separazione delle carriere tra pm e giudici, un disegno da sempre avversato dalle toghe in nome dell’indipendenza della magistratura. Una riforma voluta dal centrodestra che ha sempre parlato di politicizzazione delle varie correnti. Ma questa nota purtroppo non fa che dar adito alle critiche del governo sulle cosiddette toghe rosse. Una frase quindi che potrebbe rivelarsi un boomerang per chi l’ha scritta. Tutto questo accade in un giorno difficile per la memoria del nostro paese che coincide con la seconda strage di Fiumicino, il 27 dicembre 1985 quando i terroristi palestinesi di Abu Nidal compirono un attentato in cui morirono 13 persone.













