
Durante molte guerre le donne sono state stuprate a migliaia, talvolta a milioni. Lo stupro è spesso stato bottino di guerra, i corpi delle donne territori di conflitti, strumenti di annientamento di una comunità. Per capire la sottesa guerra contro le donne basta parlare degli eserciti liberatori, democratici che hanno portato la libertà in Europa sconfiggendo il nazifascismo. Poco noto il caso dell’Armata Rossa sovietica durante l’invasione della Germania e l’occupazione di Berlino, che utilizzò come prassi lo stupro delle donne nella fase finale della Seconda guerra mondiale. Solo nelle prime due settimane vi furono oltre centomila stupri; alcune stime parlano di circa due milioni. Anche in Italia, durante la Seconda guerra mondiale furono commessi stupri di guerra. Dopo la battaglia di Montecassino, Alphonse Juin, il comandante francese, concesse ai suoi soldati cinquanta ore di “libertà”. I soldati francesi nordafricani, noti come Goumiers, commisero stupri e altri crimini di guerra in Italia. Lo stupro di massa compiuto dopo la battaglia è conosciuto come “le Marocchinate”. Secondo le fonti, più di 7.000 civili — perlopiù donne e bambini — furono stuprati dai Goumiers.
Lo stupro di guerra riflette l’idea patriarcale, che il corpo di una donna sia un territorio da conquistare, una forma di “proprietà” sulla quale gli uomini esercitano potere. Nelle società patriarcali, il corpo femminile è spesso percepito come appartenente all’uomo. In questa logica, lo stupro diventa un modo per colpire l’onore del nemico e imporre un dominio assoluto simbolico. Non è solo un atto di violenza sessuale, ma una forma di conquista e annientamento del corpo, dell’anima femminile e dell’identità collettiva. In Ruanda lo stupro fu un’arma di guerra e uno strumento di genocidio. In Bosnia veri e propri “stupri etnici” rappresentarono forme di tortura e di rapina dell’identità dei corpi delle donne, costrette a portare la gravidanza di un essere “appartenente ” al nemico, perché questo era lo scopo perseguito dagli stupratori.
Le donne israeliane sono state colpite due volte, come donne e come ebree dalla barbarie maschilista, razzista e terroristica di Hamas. Era ed è ancora dovere di tutte le donne del mondo stare al loro fianco. C’è una parola che sarebbe dovuta emergere subito, una parola femminista bellissima: “sorellanza”. Vergognosamente, quella parola per le donne israeliane che sono state stuprate, uccise, violate nei loro corpi e nelle loro anime da Hamas, non è esistita in una parte del movimento femminista. Sì, la sorellanza. Donne del mondo, unite contro la barbarie maschile e contro ogni forma di fondamentalismo e dittatura. Nella difesa di tutte, nessuna esclusa! Il femminismo ci ha insegnato che dobbiamo riconoscere la sofferenza delle altre donne, tutte. Questo deve essere il cammino da seguire anche oggi contro l’odio sessista antisemita che si è sprigionato il 7 ottobre e ha incontrato troppi silenzi.
La libertà delle donne si realizza attraverso la sorellanza, non facendo la guerra alle nostre stesse sorelle, solo perché sono ebree o bianche, in nome di un terzomondismo cieco che cede al fondamentalismo religioso e al dispotismo. La libertà delle donne non può essere ottenuta rifiutando di denunciare l’orrore di Hamas, che mira al genocidio del popolo ebraico, ma unendosi tutte insieme, riconoscendosi nella sofferenza di tutte, essendo coloro che costruiscono ponti. Quella parte di femministe “silenziose”, in nome di una ideologia che le acceca, ha calpestato un pilastro fondamentale del femminismo, la sorellanza che è la chiave della libertà femminile.
Dobbiamo costruire un’ampia alleanza, perché le donne sono essenziali nel sanare ferite profonde; sono un elemento potente di coesione sociale; sono coloro che tessono le reti soprattutto dopo le guerre e i pogrom. Ed è per questo che devono sedere ai tavoli della pace e invece non ci sono mai. Devono avere un ruolo più forte. Bisogna instancabilmente far conoscere ciò che è accaduto, perché il lavoro del progetto Dinah, svolto dalla società civile israeliana è stato fondamentale per rompere il silenzio, anche quello di chi dice “È grave, però…”. Essere femministe significa riconoscere la sofferenza di tutte le altre, perfino di coloro che crediamo nostre “nemiche” ed essere in prima linea nella costruzione di pace. Significa essere solidali, solo così una vera pace arriverà prima e meglio. Le donne devono essere sorelle di tutte quelle che soffrono per essere state calpestate nella loro dignità, nei primari diritti di libertà. L’odio uccide la speranza, calpesta la vita. Dopo la guerra le donne sono generalmente il pilastro principale del percorso verso la pace, sanno costruire un vero tessuto sociale. Oggi più che mai il grido delle donne iraniane deve accomunarci: donna vita e libertà! Per tutte.













