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    ISRAELE

    La speranza in un tunnel: come lo Shabbat ha sostenuto gli ostaggi

    Tre ex ostaggi catturati da Hamas e liberati nelle scorse settimane — Matan Angrest, Segev Kalfon ed Eitan Mor — hanno raccontato come l’osservanza dello Shabbat nei tunnel sotterranei di Gaza sia diventata per loro una fonte vitale di forza, speranza e spiritualità.

    Durante un incontro a Gerusalemme con le loro famiglie, promosso dall’organizzazione Kesher Yehudi, i tre hanno condiviso il profondo legame che si è creato tra loro in prigionia e il senso di normalità che cercavano nei momenti del sabato. Matan Angrest ha spiegato di essere diventato più spirituale: ha recuperato con molta fatica un piccolo libro di preghiere, ha iniziato a pregare tre volte al giorno e, lentamente, ha cominciato a osservare lo Shabbat. “All’inizio recitavo il Kiddush, e poi aspettavo l’Havdalah”. Segev Kalfon ha descritto i riti che organizzavano: “Eravamo in un tunnel molto stretto. Anche se usavamo acqua per fare il Kiddush, era il pensiero che contava. Cantavamo Lechà Dodì e Rabbi Shimon Bar Yochai anche se avevamo solo mezza pita e un po’ di formaggio. Ci sedevamo insieme e ricordavamo cosa avremmo mangiato a Shabbat a casa nostra”.

    Anche le feste ebraiche venivano celebrate nei tunnel, nonostante la scarsa cognizione calendario: “A volte pensavamo che una festa fosse finita, e invece era appena iniziata — ma l’intento era ciò che contava” ha detto Kalfon. Tzili Schneider, fondatrice e CEO di Kesher Yehudi, ha definito le testimonianze commoventi : “La loro dedizione religiosa, anche in condizioni quasi impossibili, mostra come la fede abbia offerto loro un’ancora nei momenti più duri”

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