
La storia di Elena Colombo, per decenni, è rimasta ai margini del racconto familiare. Non perché fosse irrilevante, ma perché apparteneva a quella zona del non detto che proteggeva dal dolore insostenibile chi era tornato da lì o chi non era stato deportato. Nessuno ne parlava: una regola non scritta condivisa da molte famiglie colpite dalla Shoah. Fabrizio Rondolino, che aveva vissuto accanto a quel ricordo di famiglia, decide di infrangere il silenzio e di ricostruire la breve vita di sua cugina Elena, una bambina ebrea nata a Torino nel 1933 e uccisa ad Auschwitz a soli dieci anni, nel libro “Elena. Storia di Elena Colombo. Una bambina sola nella Shoah” (Giuntina). Una vicenda che rischiava di disperdersi tra documenti e ricordi sbiaditi dal tempo, l’assenza, oramai, delle voci dei testimoni.
Ma la storia di Elena è potente, straordinaria, perché c’è un fatto che la rende unica e che spinge ancor di più l’autore a volerla indagare e ricostruire. Elena è l’unica bambina ebrea italiana che sale da sola su un treno per Auschwitz. Infatti i suoi genitori, Sandro e Wanda, vengono arrestati e deportati durante un rastrellamento nel Canavese, e non torneranno. La bambina, unica eccezione documentata nella Shoah italiana, viene arrestata con loro, ma poi affidata per tre mesi a conoscenti prima di essere deportata dai nazisti.
L’indagine dell’autore si muove tra lettere, cartoline, testimonianze, vuoti incolmabili – perché è una storia di vuoti, scrive – stralci di ricordi parziali, tramandati, ricuciti sulle date e i fatti. E laddove le tracce della storia si dileguano, per descrivere e ricostruire quel che manca, Rondolino usa frammenti di testimonianza di chi è tornato e ha voluto raccontare, come Primo Levi, Liliana Segre e Nedo Fiano. Ma per ricucire i fatti c’è anche l’immaginazione: non come abbellimento narrativo, ma come strumento per avvicinarsi a ciò che resta fuori dalle fonti. Così Rondolino immagina Sandro, che ha combattuto nell’esercito italiano, quando nel 1938 legge su La Stampa della promulgazione delle infami leggi razziali, si chiede cosa avrà provato al solo pensiero di sua figlia che non potrà più andare a scuola. Immagina la sofferenza di Elena, e si interroga su come abbia reagito la ragazzina alla solitudine, a tutti gli eventi che l’hanno travolta. Ma lì si ferma, la sua è immaginazione senza fronzoli, priva di aggettivi, è etica, onesta, perché nessuno può veramente immergersi nei pensieri e nei sentimenti di un bambino solo nella Shoah: “Non ho idea di come Elena abbia reagito agli eventi che sto per raccontare, almeno nelle parti che ci sono note. – scrive l’autore – O, per meglio dire, posso, come ciascuno di noi, immaginarne la paura, lo sconforto, il terrore cieco che forse a un certo punto l’ha afferrata, la nostalgia dei genitori, la speranza e anche le risate, perché i bambini trovano sempre un modo per ridere, e le lacrime, e sicuramente lo sconcerto: ma non mi sento di attribuire a una bimba nata quasi un secolo fa, e che ha vissuto un’esperienza di cui io non avrò mai una piena conoscenza, sentimenti e riflessioni e opinioni che potrebbero essere autentici soltanto nella loro genericità. Non so come avrei reagito io, e so anche di non poterlo sapere mai: non ho dunque il diritto di immaginare le reazioni di un altro, e certamente non di una bambina”.
“Elena non l’ho mai conosciuta, eppure ho vissuto con lei tutta la vita” dicono sostanzialmente alcune voci ascoltate da Rondolino nel suo viaggio, fisico, alla ricerca di tracce di memoria e dei suoi vuoti. Il ricordo di questa bambina, così vivace, con le sue trecce lunghe e bionde, non ha mai abbandonato neanche i discendenti di chi l’ha conosciuta, seppur per breve tempo. Elena era sola ma adesso la sua memoria vive in tanti luoghi, accanto ad altri bambini come lei, che è rimasta per sempre ferma ai suoi dieci anni; a Forno Canavese in una scuola primaria che porta il suo nome; a Rivarolo Canavese dove vi è un’area giochi a lei dedicata; in un cortometraggio per ragazzi (“La cartolina di Elena”) che rievoca la sua storia; nelle pagine di questo libro in cui la sentiamo così vicina a tutti noi. Elena adesso non è più sola.













