
Nel piccolo bosco alle porte del Kibbutz Tze’elim, nel nord del Negev, sta prendendo forma “Bibas Footprints”, un memoriale che conserva nel cemento le impronte di Shiri Bibas e dei suoi due figli, Ariel e Kfir, assassinati da Hamas durante la prigionia a Gaza. L’iniziativa è nata all’interno della comunità del kibbutz, che fin dai giorni del funerale di Shiri e dei bambini ha sentito l’esigenza di creare un luogo di memoria che fosse significativo ma privo di monumentalità.
A dare impulso al progetto è stato Boaz Kratchmer, residente di Tze’elim e presidente dell’Autorità del Bacino del Besor. Dopo aver individuato un piccolo bosco piantato cinquant’anni fa dai veterani del kibbutz, un’area rimasta a lungo trascurata, dove durante i lavori sono riemersi tratti della storica conduttura idrica che portò l’acqua nel Negev. Kratchmer ha coinvolto la famiglia Bibas e affidato la progettazione al paesaggista Tzvika Pasternak, già autore del memoriale “Letter and Name” a Kfar Aza.
Il cuore dell’installazione è una lastra di cemento che custodisce le impronte dei piedi di Shiri, quelle più piccole di Ariel e le mani e le ginocchia del piccolo Kfir, che all’epoca del rapimento aveva solo nove mesi e ancora gattonava. Intorno alla lastra si sviluppano cerchi concentrici che evocano la struttura dei tunnel di Hamas: una spirale chiusa, senza via d’uscita. È un’immagine che ribalta il significato naturale delle impronte, normalmente simbolo di un cammino, e che qui invece non conducono da nessuna parte.
L’ingresso al sito è segnato da una struttura in cemento con l’incisione: “Coloro che hanno camminato nel tempo, coloro che le nostre anime hanno amato, lasciano le loro impronte nei nostri cuori.” Il giallo del nome del memoriale richiama i simboli di solidarietà con gli ostaggi, mentre il nero che lo incornicia è un omaggio a Batman, il supereroe preferito di Ariel. Attorno all’area centrale sono stati piantati nuovi alberi, tra cui eucalipti e tamerici, e sono previste panchine per creare uno spazio di raccolta e riflessione. Il costo complessivo, circa 300.000 shekel (poco più di 93.000 dollari), è stato sostenuto dal kibbutz, dal Consiglio Regionale di Eshkol e dall’Autorità di drenaggio regionale, che ha contribuito anche alla parte costruttiva.
Nei giorni scorsi Yarden Bibas ha visitato per la prima volta il memoriale ultimato, esprimendo il proprio assenso definitivo. Liberato dopo 484 giorni di prigionia, oggi sta ricostruendo la sua vita senza la moglie e i figli e ha definito l’iniziativa “toccante”, sottolineando il forte legame della sua famiglia con Tze’elim, il kibbutz dove è nato e dove vivono i suoi genitori.
Il responsabile dei lavori ha confermato che l’area sarà aperta al pubblico subito dopo la cerimonia inaugurale. Nel frattempo, residenti e familiari continuano a recarsi sul posto. Tra loro anche Eli Bibas, padre di Yarden, che da quando è tornato stabilmente a Tze’elim visita quasi ogni giorno la lastra commemorativa. “È un luogo che parla in modo diretto,” ha detto, “e spero che chi verrà qui lo rispetterà.”
L’obiettivo della comunità è trasformare “Bibas Footprints” in uno spazio di sosta e meditazione, accessibile ai residenti, ai viaggiatori e a chiunque desideri conoscere e ricordare la storia della famiglia Bibas. “La forza di questo luogo sta nella sua semplicità,” osserva Kratchmer. “Non chiede attenzione, invita al silenzio.”












