
Rom Braslavski, uno degli ostaggi israeliani recentemente liberati, ha raccontato pubblicamente per la prima volta le violenze subite durante la prigionia, iniziata con i rapimento il 7 ottobre 2023 durante l’attacco di Hamas contro il sud di Israele. Il ventunenne lavorava come guardia di sicurezza al Nova Festival quando è stato catturato e portato a Gaza. In un’intervista rilasciata ai media israeliani, l’uomo ha descritto un periodo di “tortura continua”, segnato da abusi fisici, psicologici e sessuali. Braslavski ha affermato di essere stato spogliato, picchiato e sottoposto a privazioni prolungate di cibo e acqua. Ha parlato di violenze sessuali inflitte con l’obiettivo di umiliarlo e distruggerlo psicologicamente. “Non era solo sofferenza fisica – ha detto – era un modo per cancellare la mia dignità”.
Secondo il suo racconto, i carcerieri lo costringevano a restare nudo e legato per ore, e lo minacciavano di morte se avesse tentato di reagire. L’uomo ha riferito di essere stato anche spinto a convertirsi all’Islam, con la promessa di ricevere cibo o un trattamento migliore, proposta che ha rifiutato categoricamente per tutto il periodo della sua cattività. Durante la detenzione, Braslavski avrebbe trascorso lunghi periodi in isolamento, senza sapere se altri ostaggi fossero ancora vivi. “Ogni giorno era un inferno nuovo – ha raccontato – mi ripetevo che dovevo sopravvivere fino al successivo, anche se non sapevo se ci sarebbe stato un domani”.
Sua madre, Tami Braslavski, ha confermato che il figlio è tornato in condizioni fisiche e mentali estremamente precarie e sta seguendo un percorso di riabilitazione. Tami ha raccontato poi un episodio avvenuto durante un periodo di estrema fame e perdita di peso del figlio. In quell’occasione, Rom era riuscito a liberarsi dalle manette, aveva raccolto alcuni indumenti appartenenti ai suoi carcerieri e li aveva dati alle fiamme nel bagno. Aveva poi usato quel fuoco per scaldare un pentolino con acqua e un po’ di pasta. Le fiamme, però, si erano rapidamente propagate, attirando l’attenzione della gente all’esterno. Una folla aveva iniziato a battere sui vetri e a urlare, fino a sfondare la porta e irrompere nell’abitazione. Quando gli assalitori avevano notato le manette, avevano capito che dentro si trovava un ostaggio. “Rom ha cominciato a recitare più volte lo Shemà Israel, pregando di non essere linciato. Poi, all’improvviso, ha sentito il rumore di un mazzo di chiavi: era il suo carceriere, rientrato proprio in quel momento” ha raccontato Tami. Poco prima della sua liberazione, i sequestratori lo avevano anche alimentato a forza, provocandogli oggi gravi oscillazioni nei livelli di zucchero nel sangue. Nei primi mesi di prigionia, Rom era stato incatenato ai quattro arti, costretto a fare i propri bisogni in una bottiglia e nutrito con appena mezza porzione di pane secco al giorno.
“Ci ha raccontato queste cose terribili come se fossero normali – ha aggiunto la madre – Io lo ascoltavo e mi si spezzava il cuore. Ma questa volta posso davvero abbracciarlo – non è più là, è qui con noi”. La famiglia ha chiesto che le testimonianze degli ex ostaggi vengano ascoltate e riconosciute come prova delle violenze sistematiche commesse durante la prigionia. Contestualmente, le autorità israeliane hanno avviato un’indagine interna per documentare i racconti dei prigionieri liberati, che potrebbero contribuire alla raccolta di prove su possibili crimini di guerra commessi contro i civili rapiti.













