
Il 7 ottobre 2023 ha rappresentato un punto di rottura per molte persone, sia all’interno che all’esterno di Israele. Dopo gli eventi drammatici che hanno scosso l’intero Paese, cinque donne israeliane si sono riunite, dando vita a un progetto straordinario nella sua semplicità. L’iniziativa, Comfort Object, nasce dal desiderio di restituire un frammento di quotidianità a chi ha perso tutto, attraverso il recupero e la trasformazione di oggetti provenienti dalle case distrutte del Negev occidentale.
Di fronte alle immagini di chi non ha più nulla, Tal Sterlin Halperin, appena tornata dagli Stati Uniti, ha sentito l’urgenza di concretizzare il proprio supporto. Ha coinvolto alcune amiche, tra cui la restauratrice e artista Maya Gal, la fotografa Shunit Flako-Zaritsky, la biblioterapeuta Biri Rottenberg e la curatrice Michal Krasny. Poco dopo si è aggiunta anche Shani Pitcho, ricercatrice dell’Università Ben-Gurion del Negev, che ha deciso di studiare l’impatto psicologico del progetto sulle famiglie e sul team stesso.
Il gruppo ha scelto di chiamare l’iniziativa Hefetz Ma’avar, in ebraico “oggetto transizionale”, tradotto in inglese come Comfort Object. Il nome si ispira al concetto elaborato dallo psicoanalista britannico Donald Winnicott, secondo cui un oggetto può rappresentare una fonte di sicurezza e conforto nei momenti di passaggio o di trauma. Infatti, lo scopo del progetto è quello di aiutare le famiglie a rielaborare la perdita attraverso la connessione con gli oggetti, in cui ogni frammento recuperato diventa un ponte tra passato e futuro, un legame tangibile con la vita di prima e un segno di ciò che potrà rinascere.
“Quando sei immerso in un trauma profondo, è difficile guardare avanti,” raccontano le fondatrici. “Ma osservare un qualcosa di bruciato e immaginare come potrebbe tornare a vivere ti fa intravedere una nuova realtà possibile, una casa che, seppur diversa, mantiene un legame con la precedente.”
Tra le prime storie c’è quella della famiglia Segev, del Kibbutz Be’eri. Della loro casa non era rimasto quasi nulla, ma nel salotto annerito dalle fiamme è emersa una panchina Ikea parzialmente bruciata. Maya Gal l’ha restaurata con resina e pigmenti dorati, trasformandola in un oggetto che racconta tre fasi: la vita prima del 7 ottobre, la distruzione e la possibile rinascita.
Adrienne Neta, 66 anni, realizzava a mano splendide piastrelle ceramiche azzurro cielo per decorare la sua casa a Be’eri. Dopo la sua morte, la figlia Dror ha chiesto al gruppo di recuperarne alcune. Le piastrelle, estratte con estrema cura, sono state trasformate in cinque piccoli tavolini, uno per ogni familiare: piccoli resti di vita che oggi mantengono viva la memoria della madre.
Hanna e Shlomo Margalit, del Kibbutz Nir Oz, sono sopravvissuti alla strage rifugiandosi in casa, protetti da un mobile colmo di album di francobolli. Hanno chiesto di restaurare una poltrona crivellata di proiettili e una lampada appartenuta alla madre di Shlomo. Gli oggetti sono stati riportati alla loro forma originaria e fotografati accanto ai proprietari, sotto un albero bruciato che stava cominciando a germogliare.
Poi c’è la storia di Nira Sharabi, vedova di Yossi, rapito e ucciso da Hamas. Della loro casa non era rimasto nulla, tranne alcuni vestiti che Yossi aveva lasciato in lavanderia. In uno scatto intenso, Nira siede su una sedia accanto a un’altra su cui sono appoggiati quei vestiti: gli unici superstiti, diventati simbolo di una presenza che continua oltre l’assenza.
Oltre ad essere un progetto artistico, Comfort Object rappresenta anche un percorso di elaborazione del lutto e di ricostruzione identitaria. La dimensione collettiva e quella personale si intrecciano: il restauro diventa gesto simbolico e terapia condivisa. Pur destinata a concludersi entro la fine dell’anno, l’iniziativa lascia dietro di sé la possibilità di ripensare il trauma. Gli oggetti restaurati continuano a parlarci, diventando testimoni di ciò che è accaduto e, allo stesso tempo, rappresentando chi ha avuto la forza di ricominciare.












