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    Commento alla Torà. Shemòt: il sacerdote innominato

    Nella prima parashà del secondo libro della Torà viene raccontato come Moshè, adottato dalla figlia del faraone ed educato come principe egiziano, dopo aver ucciso uno sgherro egiziano che perseguitava uno schiavo ebreo “suo fratello”, fuggì dall’Egitto per evitare di essere giustiziato e attraversando il deserto giunse nel paese di Midian.

    Nella parashà è scritto: “E la notizia [dell’uccisone dello sgherro egiziano] giunse al faraone che cercò di condannare a morte Moshè , e allora Moshè fuggì dal cospetto del faraone e arrivato nel paese di Midian sostò presso un pozzo. Il sacerdote di Midian aveva sette figlie. Esse vennero per attingere acqua, e riempirono gli abbeveratoi per abbeverare il gregge del loro padre. Ma arrivarono sul posto alcuni pastori che le cacciarono via. Allora Moshè si fece avanti, le difese e abbeverò il loro gregge” (Shemòt, 2: 15-17). Venuto a sapere dalle figlie che Moshè le aveva difese, il sacerdote di Midian invitò Moshè a casa sua. Successivamente gli diede la figlia maggiore Zipporà in moglie e gli affidò la cura del gregge.

    R. Mordekhai HaKohen (Safed, 1523-1598, Aleppo) in Sifté Kohen, fa notare che il suocero di Mosè aveva sette nomi. Eppure quando egli compare nel testo della Torà per la prima volta  egli viene presentato senza nome con il solo titolo di “sacerdote di Midian”. Qual è il motivo?  

    Inoltre nel Sefer Me’il Shemuel di R. Shemuel David Ottolenghi (Casale Monferrato, m. 1718), una selezione dall’opera Shné Luchòt Ha-Berìt, viene posta la domanda di come sia possibile che  Moshè avesse preso per moglie la figlia di un sacerdote idolatra. Proprio Moshè che, tratto dal Nilo dalla figlia del Faraone, non volle neppure prendere il latte da nessuna balia non ebrea!

    Nel Midràsh Bereshìt Rabbà (Pag. 92, ed. Amsterdam, 1720) i maestri si pongono una domanda simile: “Il Santo Benedetto odia l’idolatria! E procurò un rifugio a Mosè proprio  presso un idolatra?!  Ma i nostri maestri dissero che Yitrò era un sacerdote idolatra, ma si rese conto che l’idolatria non aveva nessun valore, si ricredette e pensò di cambiare strada prima che venisse Mosè.  Egli convocò i concittadini e disse loro: «Fino ad ora vi ho servito; ora sono invecchiato. Sceglietevi un altro sacerdote e consegnò loro gli implementi dell’idolatria». A questa notizia essi lo scomunicarono  e proibirono di avere a che fare con lui, di lavorare per lui e di occuparsi del suo gregge. Per questo motivo fu costretto a far pascolare il gregge dalle figlie”. Questo spiega perché l’Eterno fece sì che Moshè trovasse rifugio presso Yitrò.  

    Rimane da rispondere alla domanda perché nella Torà il suocero di Mosè viene presentato senza alcun nome. R. Mordekhai HaKohen spiega che i sette nomi del suocero di Mosè gli furono dati quando  divenne proselita: Yéter, quando grazie a lui venne aggiunta (yoter) una parashà alla Torà, quella che porta il suo nome (Shemòt, cap. 18). Chovàv, perché  la Torà era a lui cara (chavivà). Kenì, perché fu pieno di zelo (kinà) per l’Onnipresente. Putièl, perché si liberò (pater) dell’idolatria. Chèver, perché si accompagnò (chavèr) a Dio. Re’uél, perché divenne amico (re’a) di Dio. E quando divenne proselita e si circoncise fu aggiunta una lettera al nome Yéter che divenne Yitrò. Nella Torà, Yitrò viene presentato senza nome, perché dopo che aveva abbandonato l’idolatria non poteva più essere chiamato con il nome precedente, e fino a quando non divenne proselita rimase senza nome.

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