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    ITALIA

    Università sotto assedio: quando le contestazioni degenerano in violenza e censura

    Gli episodi avvenuti all’Università di Pisa e al Politecnico di Torino rappresentano gli ultimi tasselli di un’escalation preoccupante: la violenza politica sta facendo irruzione negli spazi universitari, luoghi che dovrebbero restare baluardi di confronto, studio e libertà accademica.

    A Pisa, un gruppo pro-Palestina ha interrotto la lezione del professor Rino Casella, docente di Diritto pubblico comparato, noto per essersi opposto alla sospensione dei rapporti con le università israeliane. Durante l’irruzione, alcuni studenti hanno cercato di strappare al docente libri e appunti, e un altro studente, intervenuto per difenderlo, è stato colpito. Il professor Casella, tentando di proteggere se stesso e lo studente, ha riportato contusioni al volto e alle braccia, dovendo ricorrere alle cure del pronto soccorso, con sette giorni di prognosi. Il rettore Riccardo Zucchi ha sottolineato che “l’interruzione delle lezioni è intollerabile” e che il suo Ateneo “rifiuta ogni forma di violenza”. Solidarietà al docente e all’istituzione è stata espressa anche dalla ministra dell’Università, Anna Maria Bernini: “Le università non sono zone franche dove si può aggredire un professore”. La presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni ha parlato di “un’escalation già temuta, frutto di una dialettica appiattita sulla propaganda di Hamas”. Esponenti politici come Fabio Rampelli e Matteo Salvini hanno condannato l’episodio, chiedendo un intervento deciso.

    Poche ore dopo, al Politecnico di Torino, un gruppo di studenti ha fatto irruzione durante una lezione del professore israeliano Pini Zorea, accusando Israele di “apartheid digitale” per l’uso di tecnologie di riconoscimento facciale e interrompendo il corso. Zorea ha risposto: “Sono d’accordo con la libertà palestinese, ma da Hamas. L’IDF è l’esercito più pulito del mondo”. Il video, diffuso sui social, ha portato il rettore Stefano Corgnati a sospendere il docente e interrompere il modulo, condannando “ogni forma di violenza e il massacro dei civili a Gaza”, pur prendendo le distanze dalle esternazioni ritenute inopportune.

    Oggi, chi irrompe nelle università e contesta Israele lo fa con l’obiettivo preciso di impedire agli israeliani, agli ebrei e a chi si oppone alla visione dei gruppi pro-pal, di esprimere le proprie opinioni. Si crea così un clima intimidatorio che va oltre il dissenso: si tratta di silenziare chi rappresenta una determinata comunità o chi non la pensa come loro. Questo comportamento mina la libertà di parola, isola gli interlocutori e trasforma il dibattito in censura mascherata da protesta.

    L’università, per sua natura, è uno spazio in cui opinioni diverse si incontrano e si confrontano, ma il dibattito deve restare civile. L’aggressione fisica a Pisa e l’interruzione del corso del docente israeliano a Torino sono segnali di una deriva pericolosa, non possono essere liquidati come semplici contestazioni. Non si tratta più di dissenso legittimo, ma di un attacco diretto alla sicurezza delle comunità universitarie e alla libertà accademica stessa. Chi sceglie la forza per silenziare un’opinione non difende una causa, ma la indebolisce.

    La libertà accademica è uno dei pilastri della democrazia. Difenderla significa garantire che in università si possa discutere di tutto, anche dei conflitti più divisivi, senza paura di aggressioni o censure. Gli atenei devono restare luoghi di crescita e pensiero critico, non palcoscenici di propaganda e violenza. Servono regole chiare, sanzioni per chi travalica il confronto civile e un rinnovato impegno delle comunità universitarie per difendere il dialogo. Oggi più che mai è necessario un fronte comune per proteggere lo spazio accademico: dove la parola deve sempre prevalere sulla violenza.

    Luca Spizzichino, Presidente UGEI

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