
Non arrendersi
In questi giorni difficili, è facile per noi ebrei della diaspora sentirci colpiti o sopraffatti dalle falsità dei nemici di Israele. È una reazione comprensibile, anche al di là del pericolo reale contro di noi, per l’affronto simbolico dell’antisemitismo e il tradimento di tanti che ci sembravano persone normali, addirittura amici, non certo portatori di odio, e che oggi invece si esibiscono, per interesse o pregiudizio, in insulti e oltraggiose storie inventate contro Israele e gli ebrei, magari in discriminazioni, minacce e danneggiamenti vari. Ma è un atteggiamento sbagliato. In tempi del genere il realismo è un obbligo ed essere realisti significa non confondere cause ed effetti, non pensare che la guerra si svolga sui media e nelle loro rappresentazioni truffaldine, perché essa si sviluppa invece sul terreno e nei rapporti politici veri, non nell’esibizionismo antisemita di persone gruppi e movimenti. Anzi, l’esperienza insegna che gli attacchi mediatici di politici e uomini dello spettacolo aumentano (e purtroppo ricevono anche maggior consenso) nei momenti in cui la situazione sul terreno volge a favore di Israele.
L’occupazione di Gaza City
Guardiamo dunque il terreno. Dopo il colpo subito dagli Houti, le reazioni sono state deboli e confuse. In Libano il governo ha presentato il piano di disarmo di Hezbollah, in Siria Israele procede sul doppio binario della diplomazia e delle incursioni militari quando si manifesta un pericolo. Contro l’Iran i tre stati europei coinvolti hanno riattivato il meccanismo che porterà a durissime sanzioni. A Gaza – centro dell’attenzione oggi – procede il piano del governo di ottenere il la sconfitta o la resa di Hamas, compresa la liberazione dei rapiti, espugnando le ultime zone franche lasciate ai terroristi dalle offensive precedenti. Ormai il dibattito politico su questo tema è concluso, le manifestazioni talvolta degenerate in violenza per colpa di alcuni estremisti non hanno più peso. Anche le obiezioni dello stato maggiore delle forze armate sono state ritirate dopo la decisione chiara del vertice politico: la guerra si può concludere solo in due modi, con la resa dei terroristi, il loro disarmo e la liberazione degli ostaggi oppure la loro completa distruzione. Per risolvere la situazione in un verso o nell’altro è necessario aumentare la pressione, non accettare tregue parziali che permetterebbero a Hamas di riorganizzarsi e riarmarsi, e tanto meno farsi imporre il ritiro delle forze dalla Striscia. Dopo una preparazione veloce finalmente l’esercito nei giorni scorsi è entrato a Gaza City, il principale baluardo rimasto ai terroristi ne ha occupato il 40%, sta distruggendo gli edifici più alti che erano usati da Hamas come osservatorio, luoghi di cecchinaggio e anche come centri di comando. Sono state recuperate delle salme di vittime del 7 ottobre rubate dai terroristi per farne oggetto di ricatto, Hamas ha fatto girare un filmato in cui si vedono altri due rapiti in una macchina che si muove per Gaza City, evidente minaccia di violenza nei loro confronti se l’offensiva prosegue.
Abu Obeida
È questo probabilmente l’ultima creazione di Hudayfa Samir Abdallah al-Kahlout, noto col nome onorifico di Abu Obeida, ucciso da un drone israeliano una settimana fa. Costui non era solo il portavoce di Hamas, colui che appariva in video in tutte le occasioni a fare roboanti dichiarazioni di guerra e di vittoria con il volto completamente coperto dalla “kefyah”a scacchi bianchi e rossi (che, a proposito, non è affatto un copricapo tipico dei palestinesi, che nella vita quotidiana non lo indossano, ma viene dagli arabi del deserto, molto probabilmente dall’Iraq, come dice la parentela verbale con la città di Kufa). Era un alto dirigente del terrorismo, soprattutto il regista della guerra psicologica e semiotica di Hamas, assolutamente fondamentale nella strategia del terrorismo, che non può vincere sul terreno ma soltanto conquistando simpatie nel mondo e dividendo il nemico – cosa che a Hamas è riuscita fin troppo bene. Abu Obeida aveva a disposizione 1200 persone. C’erano i fotografi che riprendevano scene strappalacrime, coloro che ritoccavano e riciclavano immagini estranee a Gaza ma prese in rete; i cineoperatori che qualcuno ricorderà onnipresente nei momenti delle liberazioni dei rapiti messe in scena dallo stesso “portavoce”, c’erano gli sceneggiatori che inventavano storie montate a tavolino, come i bombardamenti agli ospedali e la fame dei bambini, e soprattutto c’erano i “giornalisti di Gaza”, spesso sotto contratto per le principali fonti di informazione mondiali, ma in realtà miliziani di Hamas, che fornivano ai media le bugie con cui ci hanno bombardato in questi anni. Una perfetta e gigantesca fabbrica di menzogne, per cui qualcuno ha inventato il nome di Pallywood. Ora tutto questo non è finito, certamente continueranno le fake news e forse anche foto taroccate e filmati su misura per far disperare gli israeliani, ma certamente per la propaganda terrorista è un colpo grave.
Perché i terroristi non si arrendono
L’enorme successo in Occidente della propaganda di Hamas è forse la ragione principale del prolungarsi di questa guerra che i terroristi hanno da tempo perduto sul terreno. Il fatto di avere così tanti tifosi nei media, nella politica, nelle manifestazioni, con le conseguenze di flottiglie, dichiarazioni di riconoscimento della “Palestina” boicottaggi di Israele e degli ebrei, atti di violenza e di “lotta” in Europa e altrove, incoraggia i terroristi a tener duro nonostante le perdite, perché dà loro il senso di una possibile vittoria politica se qualcuno riuscisse a imporre a Israele il “compromesso” che desiderano, o almeno la certezza di essere “entrati nella storia” segnando un esempio che, loro sperano, sarà imitato con miglior fortuna, producendo altro sangue ebraico ma ancor di più arabo. Lo si vede non solo nell’atteggiamento di Hamas, ma anche di Hezbollah, Houti e altri gruppi, fino agli ayatollah iraniani, che rifiutano di ammettere la sconfitta. Questa è la responsabilità che si assumono politici, giornalisti, intellettuali e influencer che credono di essere pro-palestinesi e invece appoggiano solo il terrorismo e le sciagure che esso porta anche ai loro protetti.