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    ISRAELE

    Quando Israele si ritirò da Gaza: “Fu un errore, si basava su un’idea che ignorava la realtà”. Intervista a Fiamma Nirenstein

    Vent’anni fa Israele lasciava la Striscia di Gaza, nel quadro del piano di disimpegno voluto dal premier Ariel Sharon, dopo che l’aveva occupata nel 1967, in seguito alla guerra di difesa vinta contro l’Egitto, entrato nella coalizione araba che durante la Guerra dei Sei Giorni tentò di distruggere lo Stato ebraico. Un gesto che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto aprire la strada alla pace con i palestinesi, ma che per molti israeliani – e per la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein – ha rappresentato la premessa perché Gaza diventasse la fortezza da cui Hamas ha lanciato tutte le sue guerre. All’epoca inviata de La Stampa, Nirenstein seguì passo passo lo sgombero, raccontandolo nel libro La sabbia di Gaza. Cronache di uno sgombero forzato, edito da Rubbettino. Oggi, alla luce degli eventi e dell’attuale conflitto, ripercorre per noi quei giorni e le conseguenze di quella scelta.

    Lei era a Gaza durante lo sgombero del 2005. Che ricordo ha di quelle giornate?
    Quello sgombero fu un evento gigantesco e pieno di dolore e conflitto per la coscienza israeliana. Dal 1967, quegli ottomila cittadini, chiamati malignamente dall’opinione pubblica internazionale “coloni”, ma in realtà pieni di ideali e buoni sentimenti, vivevano lì, in insediamenti sulle spiagge, coltivando pomodori e fiori. Erano lontani dall’immaginario aggressivo diffuso in Occidente: famiglie che amavano quella terra, pronte a difendersi, ma dedite al lavoro. Ricordo una giovane madre con la sua bambina in una casetta sulla sabbia, un pianoforte e una pistola in casa, perché il terrorismo era già una minaccia che aveva fatto centinaia di morti tra gli abitanti ebrei della zona. Lo sgombero significò strappare quelle persone dalle loro case, tra le lacrime ma anche con obbedienza agli ordini dello Stato, nonostante le proteste.

    E cosa accadde con il ritiro?
    Il governo israeliano donò le serre alla neonata entità nella Striscia, che avrebbe dovuto costituire il primo Stato palestinese libero. Ma furono distrutte immediatamente: fiori, pomodori, case vandalizzate, sinagoghe rase al suolo, cimiteri profanati. In breve tempo Hamas prevalse sull’Autorità Palestinese, anche con violenze brutali. Subito dopo iniziarono i lanci di razzi verso Israele, esattamente come Hamas aveva promesso.

    Perché Sharon prese una decisione tanto radicale?
    Sharon era stato un sostenitore degli insediamenti, ma voleva porre fine allo scontro storico con i palestinesi. Gli Accordi di Oslo e le parole sulla pace non avevano portato risultati. Pensò che liberare completamente Gaza dalla presenza israeliana avrebbe obbligato i palestinesi a comportarsi come una comunità indipendente e responsabile. Era una volontà di pace assoluta, attuata senza condizioni, ma molti oggi la giudicano un’ingenuità. Parte della disperazione di quegli ottomila sradicati era la certezza di rappresentare “lo scudo di Israele”: lo credevano e avevano ragione. Avevano compreso che Hamas avrebbe trasformato Gaza in una base di aggressione.

    Oggi Gaza è molto diversa da allora.
    La differenza sostanziale è che è diventata la fortezza sotterranea progettata per la guerra contro Israele. All’epoca c’erano circa 1,2 milioni di palestinesi, oggi sono 2 milioni: questo per chi dice che Israele starebbe perseguendo un genocidio della popolazione palestinese. Gli insediamenti umani sono costruiti sopra la rete di gallerie per sostenere le operazioni militari, utilizzando i civili come scudi umani. È per questo che la guerra lì è così complessa.

    Arriviamo al 7 ottobre 2023.
    La strada che porta a quel giorno è diritta. Nei mesi precedenti era già evidente che gli uomini di Hamas si esercitavano all’invasione nella no man’s land, ma non si volle credere a un pericolo imminente. L’idea errata, figlia della speranza ideologica di pace, era che Hamas non avrebbe mai osato portare avanti il suo progetto di sterminio. Quel giorno Israele ha pagato un prezzo altissimo per quell’illusione.

    Come viene vista oggi in Israele la scelta del disimpegno?
    Come un errore. Così come gli Accordi di Oslo, si basava su un’idea che ignorava la realtà. Oggi, anche chi vorrebbe fermare la guerra sa che Hamas va eliminato e che è impossibile dialogare persino con l’Autorità Palestinese, che non ha mai condannato il 7 ottobre e continua a pagare stipendi ai terroristi. Il suo ideale non è “due popoli, due stati”, ma la distruzione di Israele.

    Quali sono gli obiettivi attuali di Israele nella Striscia?
    Riprendere gli ostaggi, togliere a Hamas lo scettro del potere e impedirne il ritorno al governo. Non si tratta di occupazione permanente, ma di operazioni mirate, soprattutto a Gaza City, per ridurre la minaccia. C’è anche un accordo con gli Stati Uniti per ampliare l’aiuto umanitario con molti nuovi centri operativi. Netanyahu ha chiarito che Israele non vuole restare, ma solo garantire che Hamas non torni al potere e che il futuro di Gaza finisca nelle mani di un gruppo di forze arabe di cui Israele si possa fidare.

    Qual è il suo giudizio sul ruolo della comunità internazionale in questa crisi?

    La Lega Araba ha detto che Hamas deve essere esautorato e levato di mezzo: questo Netanyahu l’ha molto apprezzato. Allarga anche il concetto degli Accordi di Abramo. Ma alcune leadership occidentali, come quella di Macron, preferiscono parlare di Stato palestinese invece di pretendere la liberazione degli ostaggi.

    E sul modo in cui viene gestita e riportata l’informazione sui media?

    La stampa occidentale, inclusi grandi quotidiani italiani come Corriere della Sera e Repubblica, continua a basarsi esclusivamente sulle fonti di Hamas: il Ministero della Sanità di Gaza, l’Agenzia di Stampa palestinese e Al Jazeera. Ignorano invece le fonti israeliane. È una grave distorsione dell’informazione e una vergogna che alimenta una spaventosa ondata di criminalizzazione di Israele, contribuendo allo tsunami di antisemitismo che ha inondato anche l’Italia.

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