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    ROMA EBRAICA

    Il “valore del noi”: la serata conclusiva di Ebraica Festival

    In un’epoca in cui le certezze sembrano frantumarsi e le divisioni aumentano, il bisogno di costruire legami autentici e duraturi è diventato più urgente che mai. La serata conclusiva di Ebraica – Festival Internazionale di Cultura ha offerto un’opportunità unica per riflettere sul senso del noi in un contesto sempre più frammentato, dove l’isolamento sembra prevalere. Il dialogo dal titolo “Il Valore del Noi. Singolare al plurale“, moderato dall’editorialista de la Repubblica Maurizio Molinari, ha riunito voci autorevoli come quella del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, e Stefano Lucchini, rappresentante di Intesa Sanpaolo. Il confronto ha offerto numerosi spunti per ricucire i legami in una società così disorientata.
    In apertura, ospiti d’eccezione per i saluti il pubblico. Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha voluto inviare un messaggio che sottolinea l’importanza della comunità ebraica per la capitale: “Roma è un intreccio vertiginoso e affascinante di identità, un laboratorio di convivenza, dove il pluralismo ideologico e la solidarietà sono valori chiave. Contrastare ogni forma di antisemitismo è un dovere per vivere in una città aperta e inclusiva”. Victor Fadlun, presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha aggiunto: “La cultura è alla base per costruire ponti, per farlo è necessario costruire scuole, garantendo benessere culturale alle generazioni future”. Un augurio che si è legato strettamente alla speranza di un futuro più coeso, fondato sull’educazione e sulla valorizzazione delle diversità, che non si può tradurre in mera tolleranza.
    Il valore del noi, in una stagione segnata dalle lacerazioni dell’io, dal solipsismo digitale e dalla polarizzazione sociale, significa entrare in profondità, cercando di gettare ponti e dialoghi laddove sembrano non esserci”: ha aperto così il dibattito Molinari. Rav Di Segni ha analizzato le radici del crescente tribalismo, facendo riferimento al sovranismo come espressione di un egoismo collettivo, una degenerazione che attraversa le società occidentali e gli Stati Uniti di Trump. Ha sottolineato che questa tendenza è una diretta conseguenza di una grande crisi di valori che mina la coesione sociale. Questa frattura culturale, spiega Stefano Lucchini, “ci ha fatto perdere di vista il vero significato di comunità, richiamando l’urgenza di una nuova consapevolezza per evitare di ritrovarci smarriti e soli”. Marco Impagliazzo ha messo in luce anche gli effetti economici e sociali della globalizzazione, che ha lasciato dietro di sé molti esclusi: “La velocità del cambiamento ha spento il senso di sé e ha alimentato una continua sensazione di affanno, solitudine e rabbia”.
    Il simbolo del muro ha rappresentato un altro nodo centrale del dibattito: da barriera divisoria a possibile punto di contatto, come auspicava Shimon Peres. Rav Di Segni ha richiamato la figura biblica di Giuseppe in Egitto, spiegando come “quando separi le persone, spezzi il tessuto sociale.” Lucchini e Impagliazzo, invece, hanno proposto una lettura dialettica del muro, il quale può sempre rappresentare una possibilità di dialogo, un momento di tensione unificante e non disgregativo.
    Nella società odierna, la propaganda continua a essere uno strumento pericoloso che crea divisioni e rafforza identità contrapposte. Rav Di Segni ha ricordato una triste lezione storica: “La propaganda nazista insegnava che una bugia ripetuta mille volte può diventare verità. Oggi, con la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione, ogni falsità può avere un impatto immediato”. Lucchini ricorda che quando la psicologia dell’io si dissolve in quella di massa, si perdono le individualità e il pensiero critico. Tuttavia, Impagliazzo spiega come, in questa battaglia culturale, “il noi può rappresentare un antidoto alla frantumazione dell’io, una risposta concreta all’atomizzazione della società”. Il “noi” che emerge nel dialogo non cancella le differenze, ma le valorizza; non teme il confronto, ma lo cerca; non costruisce muri per separare, ma ponti per unire. Solo così sarà possibile restituire senso e direzione a una società smarrita, restituendo speranza all’umanità condivisa.

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