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    ROMA EBRAICA

    Le elezioni di ieri e le sfide della Comunità nel 1881

    Con la Breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) iniziò una lunga fase di riconfigurazione della collettività ebraica romana anche dal punto di vista istituzionale, dopo oltre trecento anni di reclusione (1555-1870). Per buona parte dell’era del ghetto l’Universitas Hebraeorum Urbis fu la struttura che resse le sorti della comunità, considerata “Nazione ebraica”, una collettività separata dal resto della popolazione della città.
    Con Roma capitale anche gli ebrei romani furono equiparati nei diritti agli altri cittadini italiani, ma ciò prevedeva anche la modifica delle strutture provenienti dall’Antico Regime. Per questa ragione, nel 1881, furono indette le prime elezioni per nominare un Consiglio Straordinario che potesse stilare un nuovo Statuto di una comunità immaginata come una sorta di libera associazione. Il Consiglio si riunì per la prima volta il 27 marzo 1881 e fu composto da tutti i notabili della comunità dell’epoca, tra i quali Samuele Tranquillo Abramo Alatri (Roma, 30 marzo 1805 – 20 maggio 1889), figura di spicco della collettività ebraica romana e deputato del Regno d’Italia (1874-1876). Il Consiglio non includeva solo personaggi appartenenti alle tradizionali famiglie romane, ma furono eletti molti ebrei di altra provenienza, come nel caso del Cav. Raffaele Prato, oppure del Conte Edoardo Cahen. Era la testimonianza della trasformazione in atto della comunità ebraica di Roma con l’arrivo di molti ebrei dal Centro e dal Nord d’Italia, talvolta dall’estero, come Ernesto Nathan, sindaco di Roma dal 1907 al 1913.
    Il Consiglio straordinario era incaricato di nominare una commissione per la redazione di un nuovo Statuto, effettuata nella seduta del 27 marzo 1881.
    Secondo il nuovo ordinamento, il Consiglio doveva essere formato da un numero di eletti variabile dalle 36 alle 42 unità. Ad eleggere i consiglieri erano tutti i contribuenti maschi iscritti, che avevano pagato il contributo alla Comunità, che fossero maggiorenni, che sapessero leggere e scrivere e che potessero esercitare tutti i diritti civili. Il Consiglio aveva durata triennale, doveva essere rinnovato ogni anno per un terzo e i consiglieri uscenti potevano essere rieletti. L’articolo 17 così recita: “Le funzioni di consigliere e le cariche che emanano da tale qualifica sono puramente onorifiche e gratuite, e debbono essere esercitate personalmente”.
    Lo Statuto dell’Università Israelitica di Roma (questa era la nuova denominazione della Comunità) fu approvato con regio decreto il 27 settembre 1883.
    Ma quale fu il senso profondo di tali cambiamenti? L’intenzione dei neoeletti era di cambiare completamente la struttura proveniente dal periodo del ghetto che aveva istituzioni relativamente autonome come le confraternite e le Cinque Scuole (le sinagoghe del ghetto: Castigliana, Catalana, Nuova, Tempio e Siciliana).
    Le azioni del nuovo Consiglio furono presto indirizzate ad accentrare le funzioni nella gestione delle istituzioni comunitarie, scelta che portò, tra l’altro, alla fusione delle antiche confraternite nelle nuove strutture quali, ad esempio, l’Ospedale Israelitico e la Deputazione Israelitica di Carità. I nuovi organismi avevano l’obiettivo di modernizzare le modalità di assistenza, soprattutto tra le fasce meno abbienti della popolazione ebraica.
    Furono, inoltre, demolite le cinque sinagoghe (1908) a seguito dell’inaugurazione del Tempio Maggiore di Roma (1904), simbolo anch’esso di una centralizzazione opposta all’articolazione delle istituzioni ebraiche del ghetto e che era associata all’integrazione della comunità nel tessuto sociale, economico, politico e culturale della città. Ciò fornì agli ebrei l’opportunità di sperimentare libertà impensabili solo qualche decennio prima e una mobilità sociale altrettanto impossibile nel periodo della reclusione.
    Tuttavia, la fine delle antiche istituzioni portava con sé, assieme ai processi di laicizzazione della società, anche un forte distacco dalla vita comunitaria. Infatti, nel 1909, il presidente dell’Università, Angelo Sereni, denunciò la grave carenza di aderenti e la difficoltà conseguente nel mantenimento materiale di tutte le strutture comunitarie.
    Erano i primi passaggi dall’integrazione all’assimilazione, ovvero alla perdita d’identità ebraica che ha caratterizzato buona parte della storia della comunità nell’età contemporanea. Il nodo della tenuta identitaria della nostra collettività è tutt’altro che sciolto e dobbiamo dimostrarci pronti alle nuove sfide della contemporaneità.

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