
Nel cuore della devastazione portata dalla Seconda Guerra Mondiale, la storia di Alexander Bogen emerge come simbolo di coraggio, arte e memoria. Nato nel 1916 a Tartu, in Estonia, ma cresciuto a Vilna (oggi Vilnius), Bogen era un giovane artista ebreo che vide il suo mondo andare in frantumi con l’invasione nazista. Rinchiuso nel ghetto di Vilna, riuscì a fuggire nel 1943 e si unì ai partigiani ebrei che combattevano nei boschi di Narocz, in Bielorussia. Oltre alla lotta armata, Bogen impugnò anche matite e carboncini per documentare – in condizioni disperate – la vita della resistenza e la tragedia della Shoah.
Le sue opere diventano oggi un patrimonio universale: frammenti visivi di una memoria collettiva che ha spesso escluso il ruolo attivo degli ebrei nella lotta contro il nazifascismo. Bogen dimostra che non ci fu solo passività o deportazione, ma anche resistenza, ribellione e dignità.
Anche in Italia, la comunità ebraica non rimase a guardare. Dopo l’8 settembre 1943, decine di ebrei italiani – tra cui intellettuali, studenti, operai – si unirono alle brigate partigiane, contribuendo in modo significativo alla liberazione del Paese. Alcuni combatterono con nomi falsi, altri come ebrei consapevoli del rischio duplice: essere uccisi come nemici politici e come appartenenti a un popolo perseguitato.
In una settimana importante come quella che si sta concludendo, dove la data ebraica del ricordo della Shoah e il 25 aprile sono stati così vicini, credo sia fondamentale ribadire a gran voce l’importanza dei partigiani ebrei che, a costo della loro vita, hanno contribuito alla liberazione del nostro Paese.
La storia di Alexander Bogen ci invita quindi a guardare oltre i confini geografici. Il suo impegno tra i partigiani dell’Est europeo risuona con il sacrificio di molti giovani ebrei italiani che scelsero di imbracciare le armi, e con esse, anche la speranza. Speranza in un mondo più giusto, dove la memoria non sia solo un atto di dolore, ma anche di orgoglio e consapevolezza.
Due luoghi geograficamente lontani, due esigenze apparentemente diverse hanno unito persone lontane nella comune guerra contro il male.
È duro oggi provare tanta solitudine e ascoltare autorevoli voci accomunare il genocidio della Shoah a eventi attuali che non ne condividono nessun aspetto.
In memoria di Alexander Bogen vi propongo oggi il simbolo della cucina ashkenazita.
Gefilte fish
Ricetta Facile
Ingredienti (per 6-8 porzioni):
1 kg di filetto di luccio o merluzzo
1 cipolla grande, tritata finemente
2 uova
3 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di sale
Pepe nero a piacere
Acqua q.b. per la cottura
1 cipolla intera
1 carota, tagliata a fette
Facoltativo: un pizzico di noce moscata o un po’ di prezzemolo
Procedimento:
Tritate finemente il pesce (puoi usare un mixer). Mettetelo in una ciotola grande.
Aggiungi la cipolla tritata, le uova, il pangrattato, zucchero, sale e pepe. Mescolate bene fino a ottenere un impasto omogeneo e compatto.
Con le mani bagnate, formate delle polpette ovali (tipo quenelle) con l’impasto.
In una pentola grande, portate a bollore dell’acqua salata, aggiungete la cipolla intera e le fette di carota.
Quando bolle, abbassate il fuoco e mettete dentro le polpette delicatamente.
Coprite e fate sobbollire a fuoco basso per circa 1 ora – 1 ora e mezza.
Una volta cotte, toglietele con una schiumarola, mettetele su un vassoio, guarnitele con le fettine di carota.